VENI, VIDI, VICI! Motivare i ragazzi con uno slogan li rende efficaci

Quando ai corsi di formazione che svolgo con gli allenatori e con i preparatori dei portieri suggerisco loro delle strategie per motivare i ragazzi e le ragazze, ci tengo a evidenziare quanto sia efficace utilizzare una frase o semplicemente una parola per racchiudere un significato importante da rammentare nei momenti in cui si ha bisogno di autoincitarsi e credere in se stessi. Esercitarsi a ripetere frasi significative nei momenti in cui si ha bisogno di poter contare su uno stimolo motivazionale, diventa in tal modo la possibilità di avere uno strumento a disposizione del quale avvalersi ogni volta che se ne ha bisogno.

Questo perché ripetersi uno slogan, analogamente a quello che accade quando si ripete un mantra, ci consente di rammentare in un attimo un mix di emozioni fortemente incisive che aumentano la propria autoefficacia.

Questo è utile nello sport? Ma io direi nella vita!

Ripetersi delle frasi positive e motivanti è il fulcro di una tecnica chiamata Self Talk, la quale si avvale del dialogo interno con cui tendiamo a parlarci continuamente, in modo efficace. Si, perché spesso utilizziamo il linguaggio interiore per ripeterci frasi che alimentano i nostri dubbi, le nostre incertezze, e per demotivarci anche se tutto questo avviene involontariamente: “vedrai che ora sbaglio”, “secondo me non ci riesco“, “ma che sto facendo! Che figuraccia”.

Invece è possibile abituarsi ad utilizzare delle parole-chiave, delle frasi-chiave per attivare dentro di noi solo pensieri positivi finalizzati a realizzare i nostri obiettivi. 

Volete un esempio?

“Puoi farcela”, “Chi la dura la vince”, “Mai mollare”

Io personalmente utilizzo questa strategia:

– Spiego agli atleti che quando si affronta un prova importante è fondamentale l’atteggiamento giusto, ovvero ricorrere a una mente libera dai pensieri disturbanti e ricorrere a una certa fermezza, al pensarsi capaci di agire con la certezza di brillare in ciò che si andrà a fare.

– Così ricorro ad un esempio. Racconto loro di come Gaio Giulio Cesare si apprestò, il 2 agosto del 47 a.C., ad intraprendere la battaglia contro l’esercito di Farnace II a Zela nel Ponto, una battaglia che si concluse con una grande vittoria, così straordinaria da essere ricordata ancora ai giorni nostri… chiedo loro di imaginare in quella occasione Gaio Giulio Cesare con lo stesso impeto di William Wallace, il personaggio di cui racconta il film “Braveheart”, quando montando a pelo il suo cavallo e con il volto dipinto dai segni di guerra parla al suo esercito che di lì a poco, all’ardire delle sue parole, si trasforma in un cielo infuriato dalla tempesta e illuminato da mille occhi infuocati di brama che si attingono vittoriosi al fato. Secondo la tradizione al ritorno da questa battaglia Gaio Giulio Cesare annunciò la sua vittoria-lampo all’amico Marzio utilizzando solo tre parole:

VENI, VIDI, VICI!

– A questo punto invito i ragazzi di ripetersi questa frase ogni volta che in allenamento vogliono essere risolutivi, sicuri di loro stessi e motivati! Esercitarsi a far questo nei momenti meno frustranti, consentirà di essere autoefficaci nei momenti difficili.

Avere a disposizione uno slogan è utile a tutti! Proviamo a ricorrere a questa strategia noi per primi. Il benefico che ne trarremo ci consentirà di suggerirla agli altri con più convinzione ai nostri atleti, ai nostri figli, alle persone che amiamo e che vogliono dare il meglio di se stessi sempre!

E allora, cosa aspettate a farlo?

Come motivare il giovane calciatore A VINCERE???


Questo articolo è stato tratto dal libro: Obiettivo: vittoria.

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Quando un giovane calciatore passa dalla categoria Esordienti, della scuola calcio, alla categoria Giovanissimi dell’agonistica va aiutato a comprendere che in questo passaggio il calcio cambia, inevitabilmente. È così, e a questa trasformazione bisogna adeguarsi velocemente.

In particolare è l’idea della vittoria che cambia.

Mentre negli anni della Scuola Calcio i bambini si sentono dire continuamente dall’istruttore che non è il risultato la cosa importante, bensì impegnarsi e dare il meglio di se stessi, a 13-14 anni oltre a questo si mira a qualcosa di più. Analogamente ai cambiamenti corporei tipici dell’adolescenza che scuotono il ragazzo e la ragazza, per una strana coincidenza il calcio si fa più accanito sulle aspettative di adempiere a dei risultati positivi.

Da questo momento in poi l’adolescente diviene un vulcano sull’orlo di eruttare: tempeste ormonali, conflitti interiori tra il desiderio di autonomia e il loro infantile bisogno di affetto. Tutto ciò procura in lui tante incertezze, una bassa stima, accuratamente camuffate dietro il suo essere burbero e ribelle. Analogamente a ciò, il calcio che lui pratica si fa più competitivo e esigente, mandando spesso in tilt l’autostima.

In questo modo lo sport si propone all’adolescente come un prezioso contesto dove poter canalizzare tutta la sua energia attraverso una via di sfogo adeguata: la voglia di vincere.

Scendere in campo PER VINCERE significa osare, mettersi in gioco in ogni caso, anche giocando male se si è particolarmente emozionati.

Giocare per vincere permette di buttare fuori più adrenalina, sudore e fiato.

Scendere in campo per vincere significa rischiare di perdere, quindi acquisire spavalderia e coraggio di fronte ad un’avversità dirompente come la sconfitta, che le avversità svariate della vita le rappresenta tutte.

Dire ai ragazzi di scendere in campo con l’intento di fare una bella figura, al di là del risultato, non è più altrettanto motivante.


Nella pratica:

Suona male esortare la squadra dicendo:

Ragazzi scendete in campo e cercate di giocare bene come sapete fare, fate vedere il gioco di cui siete capaci!

Sarebbe meglio dire:

Lo dico in virtù di ciò che vedo dalla mia esperienza in campo… Spesso percepisco che priorizzare la bella figura anteponendola al risultato, in agonistica, nasconde un’incertezza del’allenatore, che spostando il focus sulla prestazione e basta, si tutela inconsapevolmente dalle critiche di fronte a una possibile sconfitta.

Ragazzi l’obiettivo è vincere!!!! Impegnatevi a giocare meglio che potete per questo obiettivo, che è lo stesso per ciascuno di voi! Quindi ostinatevi a giocare meglio che potete per il gruppo!


Aspirare alla vittoria è uno stimolo con una carica motivazionale enorme, che collude, peraltro, con una emozione innata nell’essere umano.

Freud, a tale proposito, parla di istinto di vita, riferendosi a un aspetto di noi stessi volto a eruttare, proprio come un vulcano, tanta energia propositiva.

È così che io sento la vittoria se la penso dentro di me, se cerco di sentirla mettendomi nei panni dei ragazzi quando esultano per un gol appena fatto.

In linea con ciò, possiamo concepire la voglia di emergere di ognuno di noi come la forza che ci permette di ostinarci a impegnarci in qualcosa, come per esempio a nuotare per emergere dall’acqua e palpitare boccate di ossigeno valicando a forza l’orlo che delimita il mare dall’aria. Boccate di ossigeno annaspate con fatica e che fanno sentire vivi.

È così che io sento la vittoria se la penso dentro di me, se cerco di sentirla mettendomi nei panni dei ragazzi quando esultano per un gol appena fatto.

La cosa grandiosa è che vincere è una delle possibilità, perché dove si ha la possibilità di vincere c’è anche la possibilità di perdere.

Vincere o perdere è come una medaglia con due facce. Testa o croce!

Quel gusto amaro a volte insopportabile che prevede la sconfitta, è come un incubo dove si cade e poi si nuota, si nuota, e non si riesce a raggiungere l’orlo dell’acqua.

PIÙ SI DESIDERA VINCERE, PIÙ BRUCIA LA SCONFITTA!

Proprio l’intensità di una delusione del genere è lo stimolo fondamentale per chi ha un animo vincente. Questa delusione può condurre ad abbattersi… oppure può consentire di reagire, cercando di mettere tutta la forza sulle proprie gambe e darsi la spinta necessaria per risalire dal fondo degli abissi e riscattarsi. A meno che non si voglia rimanere lì. In fondo…

In tutto ciò l’allenatore è colui che deve dare ai componenti della squadra la convinzione che la vittoria è una certezza in cui credere, anche se lui sa bene che potrebbe non essere così. L’allenatore deve motivare quell’animo vincente di ogni suo meraviglioso allievo a credere in se stesso, affinché, come dice Paulo Coelho, “l’universo cospiri verso ciò che vogliamo“.

In questo caso la vittoria non sarà più l’obbiettivo, ma una conseguenza della convinzione di potercela fare.

“NON VOGLIO FARE LA DOCCIA” Ecco il risultato della pandemia sui giovani atleti!

Ebbene si, è quello che sta succedendo!!

I bambini e anche gli adolescenti, tornando all’uso degli spogliatoi dopo ben due stagioni sportive in cui non è stato possibile a causa della pandemia si vergognano della loro nudità.

Accade soprattutto ai piccoli che non hanno mai usato lo spogliatoio.

Ma anche a coloro che pur facendo la doccia con i compagni senza alcun problema prima della pandemia nel frattempo è cresciuto e prova imbarazzo a mostrarsi nudo con il suo corpo cambiato.

Del resto non è semplice per gli adolescenti affrontare la nudità quando il loro corpo sviluppa i caratteri sessuali tipici dell’età adulta.

Questo problema c’era anche prima, soprattutto perché le tappe dello sviluppo non sono uguali per tutti. Quindi chi sviluppa prima può sentirsi in imbarazzo a mostrare il suo corpo cambiato, e chi ancora non ha sviluppato spesso si sente in imbarazzo a mostrare i caratteri sessuali ancora da bambino nei confronti dei compagni che, invece, appaiono già più “dotati”.

Adolescenti della Champions Club Soccer Academy in azione

Immaginate cosa accade ora dopo una pausa in cui la naturalezza dello spogliarsi insieme a ogni allenamento rappresentava una routine, e i cambiamenti corporei avvenivamo sotto gli occhi dei compagni.

ALLORA, COSA FARE?

Dalla mia esperienza in campo mi sto confrontando con giovani atleti e atlete che evitano lo spogliatoio per eludere il problema. Mettono una scusa per andarsene via velocemente. Addirittura spiegano che se devono usare lo spogliatoio preferiscono rinunciare a fare calcio.

A questo punto personalmente adotto questa soluzione: li invito a usare le mutandine o il costume, spiegando sia a loro che a mamme e papà (preoccupati) che lo spogliatoio ha una valenza educativa importante perché è un momento di aggregazione, insegna a occuparsi delle proprie cose e a confrontarsi visivamente con gli altri anche nella doccia.

Quindi in questo momento bisogna avere pazienza e iniziare a farla fare ai ragazzi e alle ragazze che mostrano delle resistenze anche così, muniti di slip o costume.

Sarà il tempo a far familiarizzare i bambini, le bambine e gli adolescenti con l’intimità condivisa e la naturalezza con cui ogni atleta, prima o poi si spoglia e si riveste davanti agli altri, sperimentando in tal modo cosa si prova mostrando chi si è anche rinunciando alle “difese” che consentono di rappresentare gli abiti.

Scuola calcio e settore giovanile: Cosa fare alla prima riunione dello staff

Un nuovo anno sportivo sta per cominciare e le varie società sportive si stanno organizzando per realizzare la loro prima riunione dello staff.

Un incontro che ha in primis uno SCOPO CONOSCITIVO, perché è l’occasione per accogliere i nuovi componenti del gruppo di lavoro e dove agli allenatori e ai dirigenti della società riconfermati dall’anno precedente spetta il compito di favorire una rete collaborativa proprio partendo da presupposti già collaudati.

Un altro obiettivo della riunione è quello di centrare l’elemento che farà da collante tra tutti i componenti dello staff: un OBIETTIVO COMUNE che, nel prendere forma, definirà l’identità del gruppo e orienterà il lavoro di tutti.


E ALLORA, POSSO SUGGERIRVI QUALCHE CONSIGLIO SU COME IMPOSTARE QUESTO PRIMO INCONTRO PER TRARNE DEI BUONI RISULTATI?

Ecco alcuni spunti che a me ha suggerito l’esperienza in campo.


1) Tutti per uno, uno per tutti

Essendo il “primo incontro di stagione”, come tale sancisce un nuovo inizio che coinvolge tutti. Per questo sarebbe auspicabile che vi partecipassero tutti coloro che faranno parte della società sportiva durante questo nuovo anno, quindi non solo lo staff dirigenziale, gli allenatori e lo psicologo dello sport (che dovrebbe essere presente ad ogni riunione a prescindere, per osservare, ascoltare e se necessario mediare le relazioni, in modo da gestire tutta la componente emotiva relazionale dello staff), ma anche il medico, il fisioterapista, i componenti della segreteria, i magazzinieri, questo perché:

Durante l’anno sportivo è tutti insieme che si rappresenterà la società di appartenenza e i suoi colori, e bisogna essere coerenti tutti nell’elargire questo compito presentandosi nei vari spazi e nelle varie circostanze che rappresentano la propria società sportiva mostrando all’utenza (atleti, genitori, squadre avversarie) lo stesso atteggiamento verso le svariate circostanze che si verificheranno.

Questo atteggiamento va ben definito e condiviso da tutti, e deve basarsi sul rispetto dei vari ruoli, e sulla coerenza dei comportamenti.

2) A ognuno il suo compito

Iniziare con il piede giusto è ciò che di meglio ci si può auspicare all’inizio di un anno sportivo. Proprio per questo è bene definire sin da subito i vari ruoli attribuiti ai componenti dello staff e IN MODO CHIARO di cosa dovrà occuparsi ognuno di loro.

Il suggerimento è quello di stilare un organigramma che consenta a tutti di vedere e comprendere ogni cosa.

Questo servirà per evitare un problema in cui spesso si può incorrere ovvero che ci si sovrapponga nelle mansioni provocando confusione nel riconoscersi, e aprendo una breccia che favorisce l’invadenza di chi mira a minare l’integrità del gruppo di lavoro (alcuni genitori, alcuni allenatori in disaccordo con altri, componenti di altre società sportive).

3) Quale atteggiamento verso atleti e genitori? Decidetelo insieme

Vi faccio un esempio: durante l’incontro potreste trascrivere su un foglio una serie di aspetti (come quelli che seguono) che serviranno per mostrare unione, coerenza e stimolare l’atteggiamento di ogni componente del gruppo.

  • Essere sempre accoglienti e pronti all’ascolto degli atleti.
  • Priorizzare i loro bisogni prima di ogni altra cosa. Stiamo parlando di bambini e di adolescenti, entrambi hanno bisogno di fiducia, di incoraggiamenti e di imparare a tollerare la sconfitta. Per questo gli allenatori dovrebbero essere in grado di saper riconoscere e neutralizzare i propri bisogni personali, in primis “voler vincere per mostrare a tutti di essere un allenatore vincente”.
  • Stabilire con ognuno di loro un rapporto individualizzato. La bravura di un allenatore è predisporsi a intuire quale approccio sia più auspicabile per motivare e coinvolgere al meglio ogni allievo di cui si prende cura. Questo vale anche per tutti gli adulti che rappresentano la società.
  • Essere gentili con i loro genitori ma professionali. Evitare quindi di avere un dialogo troppo confidenziale con loro.

4) Ricordate: “I panni sporchi si lavano in famiglia”

Affinché uno staff appaia solido a coloro che dal di fuori lo osservano o in alcuni casi cercano di destabilizzarlo, è importante che i suoi componenti appaiano coesi tra di loro in ogni circostanza.

Può succedere che un allenatore, in campo, veda un suo collega fare un errore, e soprattutto può succedere che un genitore o un allenatore di un’altra società possa criticare con un componente dello staff l’operato di un altro membro del gruppo di lavoro.

È importante non colludere con le critiche esterne ma piuttosto sostenersi senza annuire o cedere al tentativo di chi cerca di destabilizzare il gruppo e quindi di destabilizzare anche voi.

Poi quando ci si ritroverà “in famiglia” durante una riunione oppure nello spogliatoio, di fronte a un caffè, a bordo campo, allora si potrà discutere, criticarsi (in modo costruttivo), rimproverarsi e allo stesso modo cercare delle soluzioni insieme.


Quando si inizia un nuovo ciclo, l’entusiasmo si confonde con i buoni propositi e ci si sente carichi di tanta energia.

Poi, lo sappiamo tutti, durante l’anno sportivo ci saranno alti e bassi, momenti entusiasmanti e giornate uggiose.

Ma adesso è il momento di augurarsi un buon anno di lavoro, senza però dimenticare che per acquisire il meglio dallo staff di cui si viene a fa parte bisogna essere, noi per primi, altruisti e generosi. Solo così anche i momenti no e le uggiosità saranno più leggeri, perchè se ne potrà dividere il peso con tutti gli altri!

Se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante.
– Proverbio del Burkina Faso
Monumento alla Sardana (Barcelona) simbolo dell’armonia che erge dal gruppo.

Ritiro precampionato: suggerimenti per allenatori e genitori

E sì, ancora siamo in piena estate, ma dopo ferragosto chi pratica calcio nei settori giovanili si sà! Inizia a ripulire gli scarpini da calcio e a fare l’idea che il nuovo campionato si avvicina, e si avvicina la preparazione e il ritorno in campo.

È vero, lo stato d’animo è ancora sintonizzato sull’indolenza della siesta estiva, eppure i giovani sportivi non sfuggono al richiamo di ciò che per loro non è solo una grande passione ma, alla loro età, rappresenta un valido nutrimento per la loro auto affermazione.

Qualsiasi sia il loro talento, sia se fanno parte di una società professionistica o militano in una società dilettantistica non cambia in loro la trepidazione per la nuova stagione che presto inizierà.

E allora come possiamo aiutarli a intraprendere un nuovo anno di calcio al meglio?

Ecco alcuni spunti:

– Suggeriamo loro di iniziare ad assemblare il materiale per allenarsi quando ne hanno voglia e senza forzature.

Esortiamoli a farlo allo stesso modo di come si sono impegnati a fare la valigia prima di andare in vacanza. Del resto anche un nuovo campionato è come un nuovo viaggio, e di certo pensare di tornare a calpestare un campo di calcio, rivedere i compagni di squadra è fonte di entusiasmo e emozione.

Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcosa.

Susanna Tamaro

– Sarebbe auspicabile che inizino ad allenarsi evitando di usare gli scarpini da calcio nuovi di zecca.

Parlo degli scarpini acquistati proprio per sancire l’inizio di una nuova stagione. I piedi con l’estate si sono abituati alle infradito e gli scarpini usurati del precedente anno sportivo sono certamente più morbidi e adattati alle forme del proprio piede. Magari i nuovi si possono iniziare a mettere dopo qualche giorno…


– Evitate di parlare continuamente della prossima stagione facendo pronostici o commenti.

Sia se a farlo siete voi allenatori, sia se siete voi genitori il rischio è di appesantire questo momento che invece per loro dovrebbe essere una piacevole ripresa concentrata su se stessi (l’acquisizione di una buona forma fisica e la giusta mentalità) e sullo stabilire un efficace spirito di gruppo. Lasciamo agli atleti e alle atlete la libertà di crearsi le proprie aspettative e di porsi i propri scopi. Mi rivolgo soprattutto a voi genitori: se in questo momento, così come dopo i primi giorni di allenamento, vi sfugge un commento sul loro modo di allenarsi o sulla bravura di altri compagni di squadra rispetto alla loro, il rischio potrebbe essere quello di ledere le loro convinzioni di successo e la loro autostima. Mentre l’adolescente deve credere assolutamente di poter brillare e di conseguenza avere la motivazione di trovare da solo la strada per farlo.


– Fate in modo che intorno a loro, quando si allenano, palpino senso di stima e un clima sereno.

È ciò di cui si dovrebbero occupare soprattutto gli allenatori: per iniziare una nuova stagione nel modo migliore dovreste partire non solo curando la proposta tecnica degli allenamenti, ma piuttosto stabilendo con ogni ragazzo un rapporto individualizzato, e alimentando le circostanze che favoriscono l’unione del gruppo squadra. Come ha affermato Johan Cruijff: “Il calcio si gioca con la testa. Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano”. Noi psicologi siamo in campo in virtù di questo, e in questo caso ciò che ci spetta sottolinearvi è che per un atleta ricevere sin da subito le attenzioni del proprio mister lo fa sentire riconosciuto come persona e valorizzato, ed è in tal modo che si stabiliscono i presupposti di una comunicazione empatica tra voi e loro.


Esortiamoli a riconoscere i loro tempi di ripresa, a sentire i loro muscoli che fanno male e il fiato più corto rispetto a quando correvano in campo alla fine dello scorso campionato.

Vale a dire lasciamoli concentrarsi sui loro gesti e movimenti liberamente. Devono imparare sin da subito a concentrarsi sulle loro sensazioni, sia per riconoscere i segnali del corpo se sopraggiunge un problema, si per imparare a concentrarsi su di sé in modo da non farsi distrarre dalla tribuna che mormora o da tanti altri elementi di disturbo da cui è bene che rimangano lontani. Noi psicologi per questo facciamo esercitare i ragazzi alla pratica della mindfulness.

E ora un ultimo suggerimento a voi, cari allenatori e genitori. Ricordatevi sempre che gli atleti involontariamente possono diventare un vostro strumento per autoaffermarvi. In realtà siete voi un loro strumento per la loro autoaffermazione. Non dimenticarlo mai!

Nelle foto: ritiro precampionato della Champions Club Soccer Academy dell’anno sportivo 2021-2022

La panchina fa bene


Immaginatevi di desiderare tanto una cosa che vi piacerebbe fare, per esempio un bel viaggio, oppure avere un cellulare nuovo, una macchina più bella. Osiamo di più: il vostro desiderio in questione è buttare per sempre la mascherina, cancellare il COVID.

Ora pensate di dover accettare per forza di non poter avere nell’immediato niente di tutto questo. La sensazione che si vive in tale circostanza si chiama “frustrazione”.

Pensate, ognuno di noi ha una soglia personale di sopportazione della frustrazione che se abbastanza alta ci consente di tollerarla e non sconvolgerci gravemente. Perché le frustrazioni logorano la mente e il corpo.

Ora pensate a un bambino/a che amate. Non desiderereste che la sua soglia di sopportazione della frustrazione fosse più alta che si può?
Penso proprio di sì.

Bè, considerate che la soglia della frustrazione si alza quando si è sottoposti alla sofferenza (piccola o grande che sia), ma non una volta sola, tante volte!
Aspettare di entrare in partita allena proprio a questo.

E allora se vi capita di vedere vostro figlio o un bambino/a che amate, che scalpita insofferente a bordo campo o sta lì deluso perché vorrebbe entrare in partita, rammentate di trasformare la vostra stizza (o qualsiasi altra sensazione spiacevole) in INCITAMENTO.

Fatelo anche se quel giovane atleta è lontano da voi perché siete in tribuna. Basta che ripetiate dentro di voi: “Dai, tieni duro e quando entri spacca tutto!!!”. Come un bersaglio il vostro incitamento, di certo, centrerà l’obiettivo.

L’amore va a una velocità infinitesima, e quello di un genitore ancora di più.

La vittoria è il percorso

Chi mi conosce sa che vivo in una famiglia sportiva.

Ho conosciuto il calcio quando avevo 17 anni, guardando un ragazzo con i capelli lunghi biondi e che mi colpì da subito, quando venne a giocare nella storica Caninese, la squadra del mio paese.

Oggi Roberto è il direttore tecnico di una società sportiva e i nostri figli, Alessio e Luca, oltre a studiare Scienze Motorie sono due allenatori che cercano di dare ogni giorno il meglio di loro stessi ai bambini che allenano.
Con generosità, non per la brama di vincere.


A casa nostra di parla di calcio 24 ore su 24, e per me tutto questo è fonte di insegnamento infinito. Così stamattina, mentre io e mio figlio Alessio ci gustavamo il nostro caffè sul divano, ci siamo ritrovati a parlare dell’impresa compiuta in questo anno sportivo dalla squadra della Tor Tre Teste allenata da mister Marco Mei.

Per chi non conoscesse le vicissitudini di questa squadra adesso ve le racconto io: un intero campionato nella categoria Giovanissimi élite all’insegna di partite vinte e solo due pareggi, 101 gol fatti, 8 gol solamente subiti, fino a giungere alla finale che vi sto raccontando per assegnare il titolo regionale élite. La partita termina 1 a 1. Si va ai supplementari, e qui gli imbattuti ragazzi di mister Marco subiscono un gol e perdono.

Come diciamo sempre ai bambini della scuola calcio la palla è rotonda e quindi è imprevedibile, perciò può accadere che un semplice gol vanifichi un anno di successi in un attimo. In questo caso l’imprevedibilità di una palla dissuade tutti quelli che nell’ambiente sportivo romano avevano sancito anzitempo questa squadra come la vincitrice (addirittura) dello scudetto. Così, al sopraggiungere del fischio finale anziché la gioia li attende il durissimo sapore della sconfitta.

Ecco perché oggi scrivo questo articolo, per condividere le mie sensazioni con chi, tra voi lettori, vede lo sport come lo vedo io. Ho scritto un libro, OBIETTIVO:VITTORIA, il cui titolo è di certo una provocazione perché con le mie parole non ho voluto suggerire una ricetta giusta per vincere, ma piuttosto sensibilizzare il lettore sul fatto che

– la vittoria è l’effetto collaterale positivo di uno spirito vincente che domina su ogni avversità.

La vittoria, vista così stabilisce un risultato arbitrario, più o meno soddisfacente, al di là della posizione in classifica sancita dall’atleta. Si può essere vincitori al primo posto della classifica ed essere insoddisfatti di se stessi, così come si può terminare la gara all’ultimo posto e viversi gioiosamente vincenti. Magari aver concluso la gara rappresentava per se stessi un traguardo …

A questo punto penso al mister di questi ragazzi, lo immagino mentre osserva gli sguardi dei suoi allievi che vedono sfumare nel nulla l’ambizione di vincere un titolo. Ed è proprio commentando il lavoro di mister Marco Mei non focalizzandomi solo sull’ultima partita ma valutando tutto il campionato. che mio figlio Alessio esordisce mi illumina dicendomi:

“la vittoria è il percorso”.

Certo, proprio come credo anche io! Vincere non è alzare una coppa ed esultare, vincere è riconoscere obiettivamente il valore di una squadra e il lavoro mentale che un mister ha saputo fare sulle qualità dei ragazzi che ne fanno parte per farle brillare, è sancire un impegno costante e condiviso, fatto di tanta motivazione e ostinazione.

Vincere significa perdere con dignità.

Essere intervistati, come è accaduto a Marco Mei, e onorare in ogni caso i propri ragazzi, con sincerità, non per fare bella figura.

Ma voi ci pensate a questi ragazzi non abituati a perdere come ha fatto male la sconfitta, l’unica, avvenuta ai supplementari di una finale? Io si, ma poi pensò che accanto a loro c’era il loro mister pronto a trasformare la sconfitta in un’opportunità di crescita personale, e capace di tutelarsi dallo scoraggiamento quello brutto, quello che vanifica, a causa di una delusione, i vulnerabili adolescenti a continuare a lottare per un obiettivo.

In questo mondo sportivo attuale a volte un po’ zoppicante per mancanza di valori e motivazioni sanamente esasperate, è ovvio valutare vincenti chi al termine di una gara vince.

Ma vedere in questa foto, postata sui social dal mister, il portiere titolare affranto ricevere a fine partita il primo abbraccio consolatorio da parte del portiere rimasto rimasto in panchina, bè, è davvero una grande vittoria! Vedere oltre al mister, il,preparatore dei portieri, Luca Salatino; consolare i ragazzi mi emoziona perché poi che parla durante l’intervista con signorilità e onorabilità, mi fa venire i brividi perché in questa circostanza sportiva vedo la realizzazione di un modo di praticare lo sport al quale ambisco da anni.

Una visione dello sport che tento di contaminare agli allenatori che si formano ai corsi. E così riflettendo, valuto che tutto sommato non sono una visionaria quando non mollo per nessun motivo la mia convinzione che il calcio e lo sport in generale con le sue esasperazioni può migliorare lavorando sull’atteggiamento dei tecnici, mediatori del turbamento complessivo di una squadra, in cui convergono gli stati d’animo di tutti i componenti.

Tu lo hai realizzato mister Marco, mitigando la delusione con la responsabilità di dover stare vicino ai propri calciatori come se fossero parti di se stesso da tutelare e non lasciar frammentare dalla sconfitta. Tutto ciò lo hai realizzato davvero mio caro Marco, decretandoti in tal modo il vincitore di un titolo più valoroso di ogni altro possibile:

Essere un leader, nonché un educatore delle emozioni sempre, nel bene e nel male.


La nostra più grande gloria non sta nel non cadere mai, ma nel rialzarci ogni volta che falliamo.

—Confucio

Ciao ciao mondiali!

Ma secondo voi un chirurgo dopo un intervento a cuore aperto può permettersi di dire “sicuramente c’è mancato qualcosa nella nostra prestazione”?

Pensate se può permettersi di dire la stessa cosa un falegname e fare un tavolo con tre gambe….

I giocatori della nazionale sono “professionisti”, ovvero per loro lo sport è un lavoro. E allora invece di stare a discutere se sono stati o no presuntuosi e per questo motivo aver perso la partita contro il Montenegro, riflettiamo su quanto siano forse troppo ipervalorizzati a livello economico, a livello mediatico, a prescindere dalla loro sbiadita ostinazione

un’ostinazione che è la vera benzina che fa di un atleta un vincente!!!

Si, hanno vinto gli europei è hanno perso un po’ di cazzimme… Ho capito, ma addirittura non qualificarsi ai mondiali mi sembra un’incongruenza.

Sinceramente in altri sport incongruenze così esagerate nella prestazione di una squadra, di un atleta che pratica uno sport individuale mi sembrano assai rare! Mah!

Mi ricordo anni fa quando, in occasione di una gita al lago di Piediluco, io e alcuni miei amici assistemmo a una gara dei fratelli Abbagnale. Dopo la gara andammo a chiedere loro di farsi una foto con noi, loro in quel momento stavano faticando nel mettere la loro canoa sopra la loro macchina. Di fronte alla nostra richiesta si pulirono le mani sui pantaloncini e vennero a farsi la foto con semplicità.

Bè, attualmente nel calcio solo nei bambini della categoria Primi Calci (scuola calcio) vedo lo stesso modo semplice di vivere questo sport.

“Non abbiamo avuto cattiveria”, affermano i calciatori della nazionale in TV.

Forse ci stiamo dimenticando che lo sport è amore, passione, ricerca della forza interiore che noi psicologi dello sport ci sgoliamo a sostenere quanto sia l’unico elemento su cui investire ora e per il futuro per mirare a una prestazione eccellente.

E allora riflettiamo su dove ritrovare questa cattiveria di cui parlavano poco fa in tv, una cattiveria che preferisco chiamare OSTINAZIONE, e cresciamo gli atleti del futuro spiegando loro che per raggiungere un obiettivo bisogna impegnarsi al massimo, meglio che si può.

Come i fratelli Abbagnale, come il falegname che fatica per costruire un tavolo perfetto! Come tutti quelli che mettono il cuore in ciò che fanno.

Ps. Questa foto risale all’eliminazione dell’Italia ai mondiali del 2018. E siamo al bis!!!

Ostinazione.

Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza, ma alla perseveranza.” — Buddha

Un atleta non deve mai distrarsi troppo dalla consapevolezza dei suoi gesti, questa attenzione è una preziosa barriera. Fuori da essa c’è la distrazione, il brulicare di commenti che distraggono, c’è tutto ciò che conduce altrove.